Dal 5 al 13 gennaio 2024 la Loggia della Gran Guardia a Padova ospita “nereidi e altre cosmogonie”, personale del maestro Nereo Petenello a cura di Barbara Codogno e Carla Ravazzolo.
In esposizione una selezione della ricca produzione dell’artista (Monselice, classe 1926), con un focus speciale sulle opere polimateriche a soggetto femminile. I lavori saranno accompagnati da brevi narrazioni di Carla Ravazzolo, tratte dal libro “Nereidi, Donne di Nereo” pubblicato per i tipi della Cleup. Storie che, attingendo dal mito, indagano però aspetti diversi della donna contemporanea.
“Il nome dell’artista – spiega Carla Ravazzolo – ha generato la fortunata associazione con alcune figure della classicità, in particolare le Nereidi, che nel mito identificano le ninfe dei mari. Non sono tutte ninfe, come nel mito, le donne di Nereo. Sono regine, ancelle, muse, donne dimezzate o doppie a seconda dei casi della vita, alla vigilia di scelte definitive, benevole o furenti. Considero un privilegio aver potuto giocare con queste opere di Nereo Petenello. Selezionare il mito, attualizzarlo o reinterpretarlo in forma contemporanea è prassi antica; qui forse sono andata oltre, in modo consapevolmente arbitrario: ho scelto e isolato piccoli e talvolta secondari aspetti di figure che la tradizione ci ha consegnato e li ho resi unica caratteristica delle donne qui raccolte. Una galleria di idee che aspettavano solo di essere scritte”.
Nella produzione di Nereo Petenello degli ultimi quarant’anni, le figure femminili risultano sempre al centro della sua ricerca, andando oltre la suggestione del richiamo mitologico: ognuna delle opere in mostra riprende, sottolinea e rende universale una particolare vicenda o un aspetto caratteristico di singole storie che riescono a superare, così, la finitezza del tempo che le ha visto nascere.
“Questa mostra – dice l’Assessore alla Cultura Andrea Colasio – vuole rendere omaggio a un artista padovano eclettico e poliedrico che continua a sperimentare nuove vie e che è riuscito, superando i limiti dei materiali che lavora, a sublimare idee e concetti al di là dello spazio fisico”.
Il percorso espositivo si dipana in tre sezioni. Come spiega Barbara Codogno: “La mostra contiene tre nuclei narrativi: l’indagine che Petenello conduce verso la figura femminile. Quindi un accenno alle sue tantissime sculture in resina: quelle scelte ammiccano al suo lavoro di designer sia per l’utilizzo dei materiali, le resine, che per gli stilemi collocabili negli anni ’60 e ’70. Le opere qui raccolte sono caratterizzate da lingue di fuoco rosso che si alternano a movimenti di nero assoluto. Sembrano uscite da un Athanor, il forno alchemico, nel quale la materia si sta forgiando. Quelle di Nereo sono fiamme mistiche, magiche, prometeiche. Due sculture infatti titolano Fenice, un omaggio all’uccello di fuoco. La terza e ultima sezione propone invece tavole di grandissime dimensioni: esplosioni materiche su campiture nere, metafisiche. La terza sezione torna alla pittura scegliendo un gesto materico dal grandissimo coinvolgimento fisico che richiama senz’altro Burri e l’Informale. Petenello innesta resina nel sottopelle del quadro; crea lingue magmatiche di materia grezza e primordiale. L’opera vive e si muove. L’intento è tutto nel titolo, come vediamo ad esempio in Lacerazioni cosmiche o in Frammenti di storie lontane. Anche in questo caso il rimando è al mito cosmogonico. Qui si celebra la creazione del mondo che, guarda caso, tende verso le opere dedicate al femminile: come un grande grembo cosmico dal quale nasce la donna, mater mundi. Per me è stato molto difficile selezionare le opere da esporre per questa piccola mostra; Petenello ha prodotto con una molteplicità incredibile di stili; la sua ricerca lo ha condotto a misurarsi con moltissimi progetti artistici. Sarebbe interessante che la sua città potesse dedicargli un’antologica per evidenziare il grande percorso dell’autore, e la sua vita”.
La figlia, Cristina Petenello, nel libro/catalogo Nereidi (Cleup 2023) racconta: “Da quando ho ricordi ho sempre visto mio padre intento a creare qualcosa: giocattoli, ceramiche, dipinti, sculture… Lo rivedo concentrato su un oggetto o una figura mentre la mente è già proiettata all’idea successiva e lo sguardo indugia sulle opere precedenti, considerate mai del tutto concluse e spesso trasformate negli anni, quasi cresciute assieme a lui. Eclettico e sperimentatore, lo ritrovo nella memoria immerso in cicli necessariamente brevi, per dare la possibilità a un nuovo colore o materiale di entrare nel suo mondo. Oggi ancora mi stupisce la sua immutata capacità di guardarsi attorno con gli occhi del bambino curioso, di raccogliere il legno abbandonato, l’oggetto rifiutato e di trasformarli in un pensiero e in una storia. Una lunga storia”.
Breve nota biografica:
Nereo Petenello, è nato a Monselice nel 1926; qui, ancora bambino, spreme i tubetti di colore nello studio dei pittori futuristi Forlin e Fasullo. Qualche anno dopo, mentre compie il suo percorso scolastico al Regio Istituto d’Arte a Venezia, frequenta lo studio dello scultore Alberto Viani. Dall’immediato dopoguerra è a Padova. Petenello è stato direttore artistico e tecnico di Jolly Ceramica. Ha esposto in numerosissime mostre personali e collettive fra le quali due edizioni della biennale internazionale del bronzetto a Palazzo della Ragione; sue opere si trovano ai Musei Civici di Padova, in particolare una statua in bronzo nei giardini dell’Arena; di recente l’artista è stato insignito del titolo di “Padovano Eccellente”, per il contributo dato mediante la sua opera al recupero e al mantenimento della cultura cittadina.
Info: www.nereopetenello.com
Nereidi e altre cosmogonie
Testo critico di Barbara Codogno
Sfiancati come siamo dalla settorialità, dal dominio della specializzazione, risulta oggi effettivamente complicato avvicinare uno spirito dalla creatività a tutto tondo come Nereo Petenello.
Tanto che, questa piccola mostra, è da intendersi come meno di un fugace sguardo rispetto alla vista complessiva della ricerca compiuta – e tutt’ora in atto – e quindi della conseguente produzione artistica dell’autore.
“Anche oggi, quando vado nel mio studio – racconta Petenello – rimaneggio, metto le mani a certe mie opere che ancora sento incompiute, perché il creare per me non ha mai fine; difficile dire di un’opera che sia veramente finita, che sia compiuta”.
Lo slancio vitale che anima l’ingegno ardimentoso e poetico di Petenello gli ha permesso di spiegare le vele, aprendo infinite rotte al suo fare.
La casa dove vive con la figlia Cristina è antro arcano, un sontuoso atelier dove trovano collocazione i suoi dipinti materici e le sue elegantissime sculture; ma anche i tanti cataloghi e le fotografie che raccontano della sua vita professionale.
Va detto che Petenello, classe 1926, nasce a Monselice dove a cinque anni è già a “spremere i tubetti di colore” a Corrado Forlin e Italo Fasulo. Parliamo della seconda generazione di pittori futuristi che proprio a Monselice creano il movimento “Savaré”.
Questa frequentazione per Petenello è fonte di illuminazione, egli infatti confida: “La chiamata all’arte la sentii proprio verso i cinque anni. Alle elementari brillavo in disegno tanto che la maestra, quando doveva illustrare qualcosa, mi mandava nelle altre classi a fare i disegni con i gessetti alla lavagna”.
La scuola gli fa scoprire l’Africa, sua smisurata passione: terra intensa, magica. Un amore non negoziabile. E mentre la carnalità dell’Africa si insinua tra le pieghe della sua anima e gli offre anche lo spunto per una certa ricerca materica, Parigi invece lo spinge verso una iconizzazione del femminile che egli tradurrà con tratto del tutto personale: gli occhi molto allungati, quasi sempre socchiusi, il collo magro, il naso sottile.
Queste icone di bellezza verranno impiegate nella sfera professionale che riguarda la pubblicità: siamo agli albori della materia e i primi prodotti commerciali, dai gioielli ai farmaci, dai liquori alle uova di Pasqua, hanno bisogno di essere brandizzati.
La componente inventiva e creativa trova largo impiego nella sua vita lavorativa, quasi un miracoloso traslato dalle sue ricerche giovanili. Se da ragazzo usa la cartapesta per realizzare i suoi giocattoli, insegnando anche ai fanciulli della scuola della Basilica del Santo l’arte di lavorare con la cartapesta, intraprende la propria carriera nell’ambito del design industriale divenendo direttore tecnico e artistico di alcune importanti realtà industriali. Nei primi anni 50 è infatti chiamato ad avviare la Ceramica “Canova”, dove alla ceramica seguiranno altri materiali che lo condurranno proprio all’origine, a dove era partito da ragazzo.
“Ho riempito il mondo di giocattoli” racconta mostrando i bellissimi vecchi cataloghi della Canova dove trionfano i cavallini a dondolo e i primissimi tricicli che hanno comunque la forma di animali: cerbiatti, papere, ma soprattutto cavalli, i suoi preferiti.
“Oggi la televisione la guardo solo per vedere i documentari di Focus: mi affascinano i pianeti, il cosmo, le galassie. E gli animali”.
Quello per la natura e gli animali è un amore così importante da chiedermi, con innocenza e candore, prima di offrirsi al racconto: “Spero che lei non sia una cacciatrice, perché non lo potrei sopportare”.
Nel suo studio, invece, macchina ingegnosa, un sottosopra pieno zeppo di opere, le più svariate. Apparentemente defilati, trionfano una serie di quadri a olio con protagonisti proprio loro, gli indomiti cavalli che, questi sì, per temperatura cromatica, ricordano i dipinti dei monselicensi del Savaré. Ma l’ambientazione magica e lo sfumato misterioso avvicinano piuttosto una certa matrice folklorica, di rintracciabilità chagalliana.
Da giovane Petenello è a Venezia dove frequenta l’Istituto d’Arte e, parallelamente, lo studio dello sculture Alberto Viani.
Viani influenza molto Petenello: il disegno che si trasforma in scultura trova gancio forte nell’allievo, così come il superamento dell’anatomia e dell’immagine (che Viani eredita da Arturo Martini) e il modellare il vuoto, dando però vita a sculture vitali, carnali.
Seppure in Petenello sia forte la spinta verso l’oltrepassare il realismo per arrivare all’astratto, non manca mai nell’opera una carica carnale, ovverossia legata alla corporeità.
Alcuni suoi quadri ne sono esempio lampante: la tela come carne sbrecciata, mostra un sottopelle dal quale compare una spina dorsale – ma potrebbe essere anche un fiume – e una moltitudine di seni: ennesimo inno alla sua amata natura, mater mundi.
La ricerca gli suggerisce continue altre rotte; così la resina si mescola alla ceramica e trova la sua espressione in svariati approdi di geniale tridimensionalità.
Una produzione vastissima quella di Petenello, una continua scoperta di forme, materiali, una ricerca tenuta insieme dalla tensione umanissima di un uomo curioso, gentile e delicato.
La mostra che inauguriamo alla Sala della Gran Guardia di Padova evidenzia soltanto tre nuclei narrativi: in primis l’indagine che Petenello affronta attraverso la figura femminile. Sono opere con una forte ambientazione africana. Da qui comincia la sua produzione di donne dai tratti somatici che spaziano dalle impetuose regine, dalle eteree principesse dai profili egizi, fino alle guerriere dai nasi camusi. Corpi flessuosi e potenti, ma anche delicati e tragici.
Le donne di Nereo danno vita alle Nereidi grazie all’affabulazione di Carla Ravazzolo che prende a pretesto l’immagine per farne storia. Del resto, ogni segno è comunque e sempre allusivo e chiede d’essere interpretato. A maggior ragione le opere di Petenello che accendono la fantasia grazie al loro impeto materico, tridimensionale.
Quindi un accenno alle sue tantissime sculture in resina: quelle scelte per la mostra ammiccano al suo lavoro di designer sia per l’utilizzo dei materiali, le resine, che per gli stilemi collocabili a cavallo degli anni ’60 e ‘80. Le opere raccolte per l’occasione sono caratterizzate da lingue di fuoco rosso che si alternano a movimenti di nero assoluto. Sembrano uscite da un Athanor, il forno alchemico, nel quale la materia si sta forgiando. Quelle di Nereo sono fiamme mistiche, magiche, prometeiche. Due sculture infatti titolano Fenice, un chiaro omaggio al mitico uccello di fuoco. Ancora una volta la potenza evocativa del nome esotico e il richiamo ctonio e ancestrale ai simboli chiave del folklore.
La terza e ultima sezione propone invece tavole di grandissime dimensioni: esplosioni materiche su campiture nere assolute, metafisiche. Qui si torna alla pittura attraverso un gesto dal grandissimo coinvolgimento fisico che richiama senz’altro Burri e l’Informale.
Petenello innesta resina lucida nel sottopelle del quadro materico e grezzo; crea lingue incandescenti di materia magmatica, primordiale. L’opera vive.
L’intento è tutto nel titolo, come vediamo ad esempio in Lacerazioni cosmiche o in Frammenti di storie lontane. Anche in questo caso il rimando è al mito cosmogonico. Qui si celebra la creazione del mondo che, guarda caso, tende verso le opere dedicate al femminile: galassie che sono come un grande grembo cosmico dal quale nasce la donna, incarnazione della vita e della natura. Vera mater mundi.
Petenello ha prodotto con una molteplicità incredibile di stili; la sua ricerca lo ha condotto a misurarsi con moltissimi progetti. Tutti meritevoli di approfondimenti specifici.
Sarebbe interessante che la sua città potesse dedicargli un’antologica per evidenziare il grande percorso dell’autore, e la sua vita professionale.
Con giusta attenzione verso l’invenzione delle prime forme di pubblicità, verso gli oggetti di design, soprattutto i giocattoli.
E poi alla pittura, quella dove i cavalli meravigliosamente calzano con la fierezza dell’anima libera di un uomo che dal secolo scorso resta pioniere di futuro.
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